La parola usura indica pratiche finanziarie proibite dalla Chiesa: quando non c’è produzione o trasformazione di beni concreti, ma solo riscossione di un interesse in denaro sul denaro. Dalla tarda antichità a oggi, l’usura è uno dei grandi problemi che collega e disgiunge economia e morale.
Dove finisce il giusto compenso e dove inizia il lucro che distrugge le esistenze? Tra i vizi capitali fissati dalla Chiesa l’usura rientra nell’avarizia, e l’usuraio pecca perché vende l’intervallo tra il momento in cui presta e quello in cui viene rimborsato con l’interesse: commercia dunque il tempo, che compete solo a Dio. Il veto trovò eccezioni: Tommaso d’Aquino pose le premesse per inserire il tasso di interesse fra i contratti leciti, mentre Bernardino da Siena precisò la distinzione tra usuraio e banchiere, la cui attività consente la circolazione della ricchezza, dato che il prestito è alla base del moderno sistema finanziario.
In questa tensione si fecero strada le donazioni pro remedio animae (per la salvezza dell’anima), destinate a opere di bene, o d’arte, ma le rappresentazioni dei prestatori conservano sempre connotazioni negative. La figura dell’usuraio è legata a quella dell’ebreo: essendo proibite loro quasi tutte le attività, agli ebrei non restava che la medicina e il prestito.
La Chiesa avvertì la necessità di aiutare chi fosse in difficoltà e i francescani, dal 1462, ispirarono e fondarono i Monti di Pietà come istituzioni antiusura.
(Dall’introduzione di Ludovica Sebregondi alla mostra dal titolo ” Denaro e bellezza, I banchieri,Botticelli e il rogo delle vanità”, Pal. Strozzi di Firenze 17.09.11- 22.01. 12)