Archivi del mese: marzo 2021

Pur dicesti…..

Pur dicesti,
O bocca, bocca bella,
O bocca, bocca bella,
Quel soave e caro sì, sì

Che fa tutto il mio piacer,
Il mio piacer.
Pur dicesti,
O bocca, bocca bella,
O bocca, bocca bella,
Quel soave e caro sì, sì,
Quel soave e caro sì
Che fa tutto il mio piacer,
Il mio piacer,
Il mio piacerQuel soave e caro sì, sì
Che fa tutto il mio piacer,

Che fa tutto il mio piacer,
Il mio piacer.Per onor di sua facella
Con un bacio amor t’aprì,
Con un bacio amor t’aprì,
Dolce fonte del goder.
Aaaaaaah
Sí, del goderPur dicesti,

O bocca, bocca bella,
O bocca, bocca bella,
Quel soave e caro sì, sì
Che fa tutto il mio piacer,
Il mio piacerPur dicesti,
O bocca, bocca bella,
O bocca, bocca bella,
Quel soave e caro sì, sì,
Quel soave e caro sì
Che fa tutto il mio piacer,
Il mio piacer,
Il mio piacer
Quel soave e caro sì, sì
Che fa tutto il mio piacer,
Che fa tutto il mio piacer
Il mio piacer

Antonio Lotti

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ELOGIO DELL’APPARTENENZA


Identità, comunità e amor di Patria al tempo del mondialismo apolide

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Il futuro appartiene a chi possiede una storia e riesce a raccontarla. Ma una storia, per essere tale, non è mai un parto individuale: è sempre la narrazione di un “Noi” che incarna un’origine, un percorso e un destino. La nostra Italia, nonostante tutto, ha ancora una storia da raccontare: sono i mille tasselli di una Civiltà profonda, che affonda le radici nel genio dei nostri antenati e nell’orizzonte dei nostri figli. Questo patrimonio perenne – di fatto – rappresenta la nostra Tradizione, colonna portante di quella comunità organica che popola la nostra Patria.

La post-modernità – liquida e apolide – ha scelto di annegare le differenze nel calderone multiculturale dell’uniforme, rimodellando il pianeta sullo schema omologante della cosmopoli globale: dal livellamento dei popoli alla distruzione del sacro; dal superamento dei confini alle migrazioni di massa; dalla sovversione degli equilibri sociali al capitalismo della sorveglianza; dalla mistica dei diritti soggettivi alla religione del progresso; dalla demolizione degli Stati sovrani alla tirannia degli apparati burocratici; dallo strapotere delle élite finanziarie all’egemonia dei colossi digitali. Il rullo compressore del mondialismo – votato all’affermazione di una “società aperta” senza volto – sta travolgendo ogni espressione specifica in nome di una globalizzazione che è delle merci e del linguaggio, ma anche dei corpi e delle anime.

La nostra Italia è in via di estinzione: afflitta dalla denatalità, invasa da esodi biblici, umiliata dai meccanismi sovranazionali, smembrata da svendite e privatizzazioni, ferita da mafie e corruzione, comprata all’asta da predoni e speculatori stranieri; un Paese stanco e sottomesso, che esporta cervelli ed importa guai, nella totale indifferenza di una classe politica dalle inclinazioni esterofile ed anti-nazionali.

Sull’orlo del baratro, allora, occorre reagire: è necessario riaffermare la vitale armonia delle nostre radici e della nostra identità, dei nostri retaggi e dei nostri princìpi, dei nostri riti e dei nostri miti. Occorre un sincero elogio dell’appartenenza, che riaccenda l’idem sentire di un popolo che ha bisogno di tornare sovrano, ritessendo la trama del proprio spirito nazionale. Perché una Patria, anzitutto, resta integra quando si salvano i suoi valori e la sua capacità di trasmetterli.

Questo saggio, scritto sotto forma di “Lettera ad un ragazzo della classe 2020”, è un affascinante viaggio attorno ai concetti di appartenenza e di comunità, attraverso le mille tracce di una cultura libera e dissidente. “Amo il mio Paese perché è mio”, si diceva un tempo: ciò che abito, condivido e riconosco – dunque – rappresenta il mio orizzonte di senso. Queste pagine, coraggiose e controcorrente, porgono al lettore il testimone di un’esortazione vitale: “Diventa ciò che sei”.

Nuova Accademia Italia.it

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Girare a vuoto

Il rapporto con la terra e la legge di gravità

L’odierna ossessione per un’autenticità fondata sul narcisismo dell’Io, la costante ricerca del nuovo e dell’inedito, la bulimia consumistica dell’usa e getta che pervade ogni ambito determinano, nei rapporti e nelle pratiche che caratterizzano la società contemporanea, una sempre più evidente e sintomatica scomparsa delle forme rituali.

Tuttavia, la struttura immutabile e ripetitiva, così come la teatralità dei gesti e l’attenzione riservata alla “bella apparenza”, conferiscono ai riti un potere simbolico profondamente unificante.

Il silenzio, il raccoglimento, il senso di sacralità necessari allo svolgimento del rito fondano un legame tra il sé e l’Esterno, tra il sé e l’Altro – i riti “oggettivano il mondo, strutturano un rapporto con il mondo”, creando una comunità anche senza comunicazione.

A questa comunità senza comunicazione, propria della società rituale, Han contrappone la comunicazione senza comunità, quel “baccano” in cui, in una società sempre più atomizzante, il soggetto si esprime e “si produce” ritrovandosi a girare a vuoto attorno a se stesso, privo di un mondo e di reali interazioni. Per infrangere questo cortocircuito, e all’interno di una più ampia critica delle patologie del contemporaneo, Byung-Chul Han propone un recupero del simbolismo dei riti come pratica “potenzialmente in grado di liberare la società dal suo narcisismo collettivo”, riaprendola al senso di una vera connessione con l’Altro – e reincantando il mondo.

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